Tutelare i Bambini - COSA FARE?

E’ un po’ di tempo che sta accadendo qualcosa di strano nelle Scuole Italiane. E’ quanto riferiscono giornalisti/ ricercatori ma soprattutto è il vissuto quotidiano della quasi totalità delle famiglie italiane che hanno figli in età scolare. Che cosa succede, esattamente?
E’ aumentato vertiginosamente il numero delle ripetizioni private…i ragazzi non ce la fanno, arrancano ed annaspano in un ‘istruzione impossibile, faticosa, esasperante. Gli Psicofarmaci non sono la soluzione

I genitori  si sentono in colpa ed incominciano una ansiogena quanto inutile autoanalisi. Si tratta di una interminabile e variegata elencazione: pensano di aver diretto il figlio in una scelta scolastica sbagliata, che sia stato un errore la  primina a 5 anni, che hanno lavorato troppo e quindi trascurato i figli nel “fare i compiti”, ecc…Si tratta di genitori profondamente in crisi, spesso soli nell’elaborazione della difficoltà, della sensazione della sconfitta e del fallimento genitoriale.
Molti corrono verso l’ illusione di felicità  in una scuola privata, che in genere promette capacità di ascolto, metodologia, possibilità di scelta, sperimentazione: un’offerta formativa ricca ed interessante, meno burocratizzata della scuola pubblica, salvo poi ricadere in una serie di difficoltà relazionali e metodologiche che sono proprie del “privato”. Senza contare i costi non da tutti sostenibili.

 Nella nostra esperienza clinica abbiamo ascoltato storie e vissuti di estrema forza:  la decisione del papà che voleva legarsi ad un palo perché non riusciva a trovare una 1^ Media Superiore Pubblica idonea al proprio figlio, portatore di un leggero handicap, estremamente fragile ed introverso.

O il cambiamento totale del proprio progetto di vita di un altro papà che ha scelto il prepensionamento, schiacciato da sensi di colpa, in parte indotti, per rimediare al danno di non aver fatto fare a suo tempo i compiti alla propria bambina. Oggi, quel padre, informatico, sta studiando greco, per poter aiutare la propria figlia  nelle versioni…
E così via… storie di  ordinaria disperazione …e di amore.

 C’è un altro fenomeno particolarmente interessante: le riferite difficoltà di apprendimento  sin dalla 1^ Elementare!!! 
Distinguiamo ovviamente  tra ciò che è innato, fisiologico, non modificabile (per lesioni o carenze biologiche gravi, virus degenerativi, ecc) e ciò che è una difficoltà, cioè derivante da un fattore ambientale, relativo ad una prestazione e modificabile con idonei interventi .
Sembra che la seconda opzione, cioè che la difficoltà possa semplicemente essere uno stile in evoluzione o derivante da altre ragioni di tipo ambientale,  non riesca ad essere compresa ed accettata. Ovviamente ciò richiede esercizio, insegnamento e programmazione individualizzata, attenzione verso simboli o parole non capite, chiarimenti, chiarimenti ed esercizio, esercizio, interventi mirati, un lavoro di squadra.
Pare ci sia una maggiore propensione a voler leggere i diversi segnali di difficoltà, prioritariamente come disturbo. Per una serie di ragioni. Prima fra tutte: se il bambino ha “un disturbo”, ciò spiega il fallimento ed un probabile “disturbo dell’insegnamento” è accantonato. E’ un po’ come essere esonerati dall’obbligo di produrre apprendimento, primaria mission dell’Istituzione Scuola.
Un tempo si parlava di Diritto allo Studio.
Questo è oggi anacronistico e non basta più.

Oggi, può solo che essere DIRITTO ALL’APPRENDIMENTO

E che sia anche “ARMONICO”, questo Diritto,  come cita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo!
Per questa ragione diciamo con forza NO alla somministrazione di psicofarmaci per risolvere problemi che sono didattici e comportamentali.
Se non c’è una grave lesione degenerativa, c’è un intelligenza che ha tempi, ritmi, stili e modalità. E queste devono essere rispettate.
Non possiamo risolvere tutto sanitarizzando l’area dell’apprendimento e della didattica.

I tempi, le modalità, gli stili

I tempi sono corrispondenti alle unità di attenzioni necessarie ad un individuo, in un determinato lasso di tempo, per  osservare, duplicare, elaborare, apprendere , esercitare ed usare.
E’ ciò che tecnicamente chiamiamo gradiente. Ogni bambino ha il suo ed a volte bisogna consentire che questo tempo sia rispettato. C’è qualcuno che dovrà ripetere e fare 100 volte l’esercizio, chi 10. Il punto non è mai la velocità, che mai dovrebbe essere validata, all’interno di un processo primario di apprendimento, quanto il risultato.
Che certo, è dato anche dalle modalità operative. In una parola, dal METODO DI STUDIO.

Il “Metodo” che non c’è

Famoso Metodo!  Quante volte i genitori si son sentiti dire: “ Suo figlio non ha metodo… e poi si distrae…non è interessato a niente…non studia…non viene volentieri…disturba… picchia i compagni… è demotivato… è violento…lo faccia vedere”.
“ …E sua figlia…lo vedi proprio che non ha metodo, non si applica… è intelligente ma non si applica… potrebbe fare di più…peccato, la faccia seguire”
E’ un bollettino di guerra. Si torna dai colloqui con le ossa che fanno male, il morale a terra e un grosso problema.  Da non raccontare. Quando un figlio non ce la fa. È difficile parlarne anche con lui. Tra meccanismi di difesa, chiusura, sensi di colpa, fallimenti, ecc, ecc…che tipo di comunicazione costruttiva potrebbe esserci?
Ma   qualcuno, in qualche ordine di scuola, ha mai insegnato ad imparare?  No! Non è previsto nei Programmi Ministeriali.
C’è un esercito di insegnanti di buona volontà che sopperisce a tale carenza con buoni consigli e suggerimenti . Tali indicazioni “metodologiche” nascono in prima battuta dalle esperienze personali dei docenti, spesso risalgono al metodo che i loro stessi insegnanti usavano anni addietro, con loro. Storico, ma non funzionale. Niente di scientifico e veramente metodologico.
Allora, se nessuno insegna ad imparare, perché colpevolizzare gli studenti che “non hanno metodo”?
E non siamo qui certamente per invalidare e sminuire il lavoro che tanti docenti, delle Scuole di ogni ordine e grado, ogni giorno cercano di portare avanti con dedizione, dignità, prestigio,  ben oltre ciò che gli compete.

Noi non vogliamo l’invasione di psicologi e psichiatri nella Scuola con Progetti di Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza per individuazione e trattamenti di disturbi di lettura, scrittura e calcolo.
In altri Paesi questi “progetti” hanno rappresentato l’anticamera della sanitarizzazione con somministrazione di Psicofarmaci per” studiare meglio ed essere più buoni”.
Non ci sono dubbi sul fatto che tali prodotti farmaceutici abbiano effetti collaterali anche gravi, inclusa la morte del paziente.

NESSUNA TERAPIA FARMACOLOGICA HA MAI MIGLIORATO IL RENDIMENTO SCOLASTICO DEI BAMBINI in quanto il processo di sviluppo ed apprendimento e gli stili di affettività e socialità richiedono un progetto didattico e relazionale più articolato che non sia basato solo sul prestare attenzione!

L’Iperattività non è una malattia.

E’ una modalità, o il sintomo ed il segno di una difficoltà altra. Ed è solo questo che, caso per caso, bambino per bambino, va individuato e risolto.

NON SOMMINISTRARE MAI PSICOFARMACI A TUO FIGLIO SPERANDO CHE DIVENTI PIU’ BUONO E PIU’ BRAVO A SCUOLA!

Vienici a trovare, con tuo figlio, o senza, portaci i suoi quaderni e spiegaci le sue e le tue difficoltà…

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